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Wilsoniani e Jacksoniani: due visioni contrapposte dell’America

Negli Stati Uniti, la politica estera e interna è spesso interpretata attraverso diverse lenti ideologiche. Tra le più rilevanti, si distinguono le visioni wilsoniana e jacksoniana, due approcci che affondano le radici nella storia americana e che hanno trovato nuova attualità nel recente confronto tra Kamala Harris e Donald Trump in occasione delle elezioni del 2024.

I Wilsoniani: la politica come missione morale

I wilsoniani prendono il nome dal presidente Woodrow Wilson (1913-1921), promotore di un’idea di politica estera fondata sulla moralità, il multilateralismo e la diffusione della democrazia. Per questa visione, l’America ha il compito di plasmare il mondo secondo i principi liberali, creando istituzioni globali per garantire pace e stabilità. Questo approccio ha influenzato le scelte degli Stati Uniti nei decenni successivi, dalla creazione della Società delle Nazioni dopo la Prima guerra mondiale fino all’ONU e alle moderne organizzazioni internazionali.

L’approccio wilsoniano non si limita alla politica estera, ma si estende anche alla dimensione interna. I wilsoniani credono che il progresso sia raggiungibile solo attraverso la costruzione di una società giusta, equa e inclusiva. Questa visione si traduce in politiche di ampio respiro in favore della giustizia sociale, dei diritti delle minoranze e della lotta al cambiamento climatico. L’idea di fondo è che l’America debba essere una guida morale per il mondo e che il governo federale abbia un ruolo attivo nel migliorare la società.

Oggi, i wilsoniani vedono la politica come un mezzo per riscrivere la società attraverso una “religione culturale”, enfatizzando tematiche come la giustizia sociale, la diversità e l’inclusività. Il progressismo contemporaneo, spesso associato alla cancel culture e al wokismo, è una manifestazione di questa visione, in cui il cambiamento culturale è considerato fondamentale per il progresso politico.

I Jacksoniani: il primato del popolo e dell’interesse nazionale

Dall’altro lato, i jacksoniani prendono il nome da Andrew Jackson (presidente dal 1829 al 1837), il quale incarnava una visione politica basata sulla difesa degli interessi nazionali, sull’identità americana e su un forte populismo. Per i jacksoniani, il popolo viene prima di tutto, e ogni mezzo è giustificato per garantire la crescita economica e la sicurezza nazionale, inclusa la guerra.

Questo approccio si traduce in una politica estera aggressiva, scettica verso il multilateralismo e focalizzata sulla supremazia americana nel mondo. Internamente, il jacksonismo si oppone ai tentativi di riforma culturale e promuove un forte senso di identità nazionale. Negli ultimi anni, questa visione è stata associata al “Make America Great Again” di Donald Trump, con una retorica che enfatizza il patriottismo, il protezionismo economico e la difesa dei confini.

Il jacksonismo rifiuta l’idea che l’America debba assumere il ruolo di garante della democrazia nel mondo e privilegia un approccio pragmatico e realistico. Per i jacksoniani, la politica è uno strumento per proteggere e rafforzare la nazione, senza cedere sovranità a istituzioni internazionali. Questo atteggiamento si manifesta anche nelle politiche economiche protezionistiche e nella riluttanza ad impegnarsi in conflitti all’estero senza un chiaro beneficio per gli Stati Uniti.

Un confronto che definisce il futuro dell’America

L’attuale contrapposizione tra wilsoniani e jacksoniani non è più una questione accademica, ma un conflitto reale che attraversa la società americana. I democratici di Harris, con un programma conservatore esternamente e progressista internamente, intendeva inserirsi nella recente tradizione wilsoniana e rafforzarla, mentre Donald Trump, con la sua visione nazionalista ed identitaria, congiuntamente alle azioni intraprese con i suoi primi ordini esecutivi, incarna pienamente la visione jacksoniana con qualche naturale deviazione.

Le implicazioni di questa contrapposizione si estendono ben oltre i confini statunitensi. Una presidenza wilsoniana avrebbe senz’altro mantenuto il ruolo primario dell’America nelle istituzioni internazionali, mentre l’attuale presidenza jacksoniana sta spingendo verso un mondo più multipolare e competitivo. Le scelte che l’America sta svolgendo in questi mesi stanno già determinando l’assetto geopolitico globale del prossimo decennio, influenzando le alleanze internazionali, i trattati commerciali e le politiche di sicurezza.

Le elezioni del 2024 sono state un momento decisivo in questa battaglia ideologica. Se da un lato il wilsonismo avrebbe proseguito con la stessa politica estera di controllo tramite gli organi internazionali e di lotta interna con le battaglie sociali, dall’altro il jacksonismo sta mettendo in campo già da ora la sua visione estera di un’America intransigente sui propri interessi nazionali ed internamente di un’America che si ricostruisce identitaria.

In medio stat virtus.

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