Lo studio dovrebbe essere, almeno in linea teorica, un diritto di tutti. Dovrebbe essere infatti possibile, per chiunque ne abbia la volontà e le competenze, accedere a percorsi di istruzione e formazione che consentano di raggiungere i propri obiettivi e realizzare le proprie ambizioni lavorative.
Tuttavia, lo scenario attuale appare ben diverso da quello descritto poc’anzi. Le possibilità e le scelte economiche della famiglia di provenienza sono infatti ancora fonte di forti discriminazioni a discapito di studentesse e studenti che, seppur meritevoli, non possono permettersi di far fronte alle spese cospicue richieste in particolar modo dai percorsi universitari.
Lo Stato ha cercato negli anni di far fronte a quest’emergenza sia direttamente, tramite i Ministeri (ad esempio il Ministero degli Affari Esteri), sia attraverso le singole regioni. I mezzi messi oggi in campo sono svariati. Tra i principali:
- la “no tax area”, destinata alle famiglie con ISEE minore di 13.000 euro, oppure la riduzione delle tasse universitarie per famiglie tra i 13.000 e i 30.000;
- posti letto gratuiti, determinanti soprattutto a fronte delle proteste contro il caro affitti consumatesi in molte città italiane;
- borse di studio (in aggiunta all’esenzione dalle tasse) che si vanno ad aggiungere a pasti gratuiti, prestiti ed altri benefici.
In quest’analisi, tuttavia, è necessario considerare diversi fattori: i ritardi nell’erogazione dei fondi (quando presenti); i divari territoriali; la presenza di un requisito di reddito per l’accesso ai sussidi.
In primo luogo, ove i fondi siano presenti, i ritardi nell’erogazione degli stessi causano ansie e preoccupazioni negli studenti. Ad esempio, nel 2023, l’Università di Padova è regredita notevolmente rispetto ai progressi degli anni precedenti: 1.955 matricole figuravano infatti tra gli “idonei non beneficiari”, in quanto i denari da anticipare erano troppi per essere coperti dall’Università.
Nemmeno l’anticipo nella pubblicazione del riparto del Fondo Integrativo Statale, avvenuto a metà novembre nel 2023 invece che a inizio dicembre, è stato sufficiente ad ovviare ai problemi analoghi che si sono riproposti nell’anno successivo.
È emblematico il caso, diventato poi mediatico, della Disco Lazio, dove si sono registrati ritardi di ben quattro mesi nella distribuzione di borse di studio e altri contributi nella Regione. Oltre alle ben note differenze e disparità tra realtà regionali, la situazione di disagio è accentuata nel caso delle zone periferiche e i sussidi si rivelano insufficienti a sopperire alle necessità. Gli affitti proibitivi non consentono a questi ragazzi di stabilirsi fuori sede. Al tempo stesso, tali studenti si ritrovano impossibilitati a condurre una vita da pendolari a causa dell’inaffidabilità del trasporto pubblico.
Le ripercussioni sugli universitari appaiono evidenti dalle statistiche: 10 punti percentuali di differenza, per quanto riguarda l’ottenimento della laurea, tra coloro che provengono dalle città e coloro che vivono invece nelle cittadine e nei sobborghi (con un divario ancora più significativo per quanto riguarda le zone rurali).
Infine, anche il requisito di reddito, misurato tramite ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), è causa di ulteriori problemi. Sebbene (con gli anni, ed anche grazie al PNRR) sia stata alzata la soglia massima per l’ottenimento dei benefici (portando il livello ISEE a 27.726,79 euro), questo indicatore diventa di complessa valutazione nel momento in cui si considera che molti cittadini italiani dichiarano redditi nulli.
A detta di alcuni, questo è indice della povertà dilagante che affligge il nostro Paese, per altri è invece chiaro sintomo di evasione fiscale. Si tratta in ogni caso di un parametro problematico, soprattutto in quanto (salvo casi di studenti classificati come “indipendenti”) le possibilità economiche dei genitori non sono garanzia della volontà di supportare i figli nel proprio percorso accademico.
A fronte di tutte le difficoltà sopra elencate, alcuni studenti arrivano addirittura ad optare per il crowdfunding. Le circostanze costringono molti molti altri universitari a dover coniugare il lavoro agli studi. Una scelta faticosa, soprattutto per il carico mentale che comporta e per le possibilità spesso precluse agli studenti che la compiono, ma anche a causa della difficoltà di trovare un impiego stabile e retribuito a dovere.
La speranza è che gli studenti, un giorno, possano affidarsi anche allo Stato per far fronte alle proprie necessità senza dover correre ai ripari più svariati, rischiando di mettere a repentaglio i propri equilibri e di non seguire la propria vocazione lavorativa.
E’ chiaro che questo cambiamento richiede tempo e fondi. La Commissione Istruzione e Cultura di Giovani Universitari in Parlamento è pronta a farsi portatrice delle istanze dei giovani per aprire un dialogo produttivo e costruttivo con le istituzioni.