Le elezioni negli Stati Uniti hanno evidenziato un significativo cambiamento politico, con una netta vittoria attribuita al crescente malcontento nelle regioni rurali del Paese. Secondo un’analisi di Left, la “rabbia” della popolazione bianca rurale rappresenta una forza determinante nelle dinamiche elettorali americane, contrapposta all’élite urbana.
Queste elezioni hanno segnato una svolta significativa nella politica estera americana, ridefinendo le dinamiche internazionali ed influenzandone profondamente gli equilibri. La nuova amministrazione Trump ha emanato numerosi ordini esecutivi di cui ha fatto un vero e proprio strumento anche politico. Segue molto la politica dell’America First, ovvero che per potersi occupare dell’estero bisogna sistemare prima casa propria: quindi molte riforme interne per presentarsi più forti all’esterno.
In questo campo vogliamo iniziare citando diversi episodi, come quando il Segretario di Stato Marco Rubio ha espresso preoccupazione riguardo alla crescente influenza della Cina sul Canale di Panama. Durante una visita a Panama City, Rubio ha dichiarato che la presenza cinese rappresenta una minaccia per la neutralità del canale. Su un altro fronte della politica estera, la nuova amministrazione ha sostenuto i negoziati di Riad, durante i quali rappresentanti russi e americani hanno discusso possibili basi per un accordo di pace in Ucraina. Tra i temi trattati figurano la sicurezza della navigazione nel Mar Nero e la protezione delle infrastrutture energetiche. Infine vogliamo ricordare come oggi, mercoledì 2 aprile, Donald Trump annuncerà dei nuovi “dazi doganali reciproci”. Come divulgato dalla portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt: “Il presidente annuncerà un piano tariffario che annullerà le pratiche sleali che hanno derubato il nostro paese per decenni. È tempo di reciprocità ed è tempo che un presidente intraprenda un cambiamento storico per fare ciò che è giusto per il popolo americano”.
Prima di proseguire nell’analisi ci teniamo a specificare che le presenti considerazioni nascono da un incontro organizzato dal Think Tank di Trinità dei Monti con Lucio Caracciolo, Fondatore e direttore della rivista Limes, Sergio Vento, Ambasciatore a Belgrado, ONU New York, Washington e Parigi, Consigliere di quattro Presidenti del Consiglio, e Lamberto Dini, 22° Presidente del Consiglio dei ministri, già Presidente del Consiglio europeo e Direttore generale della Banca d’Italia.
La Dottrina Trump: i cinque pilastri
La politica estera dell’amministrazione Trump si è basata su cinque pilastri fondamentali: realismo ostentato, nazionalismo non-eccezionalista, unilateralismo, militarismo e protezionismo. Questi elementi hanno contribuito a ridefinire il ruolo degli Stati Uniti nel contesto internazionale.
Il realismo ostentato si manifesta nella percezione di un contesto internazionale anarchico, dove ogni nazione persegue i propri interessi in una competizione a somma zero. Questo approccio è evidente nella “National Security Strategy” del 2017, che sottolinea la competizione di potenza con Cina e Russia e l’importanza di difendere la sovranità americana.
Il nazionalismo non-eccezionalista rappresenta una rottura con la tradizionale visione americana di superiorità etica e missione universale. Trump ha spesso messo in discussione l’idea che gli Stati Uniti abbiano una naturale convergenza di interessi con il resto del mondo, enfatizzando invece la priorità degli interessi nazionali.
L’unilateralismo si traduce nella preferenza per azioni indipendenti rispetto ai meccanismi multilaterali, considerati limitanti per la potenza americana. Questo è evidente nel disinteresse verso organizzazioni internazionali e nella predilezione per negoziati bilaterali.
Il militarismo si riflette nell’incremento delle spese militari e nella volontà di mantenere una superiorità di potenza. La “National Defense Strategy” del 2018 identifica come principali competitori Cina e Russia, sottolineando la necessità di rafforzare le capacità difensive.
Infine, il protezionismo emerge nella critica alle forme di integrazione commerciale e nell’adozione di misure come dazi e guerre commerciali, volte a correggere gli squilibri percepiti negli scambi internazionali. Questo approccio è sintetizzato nel motto “America First”, che enfatizza la priorità degli interessi economici nazionali.
Sfide ed obiettivi della nuova amministrazione: dalla situazione interna alle strategie estere
La nuova amministrazione Trump sembra ispirarsi al principio napoleonico secondo cui “chi tenta di salvare il proprio paese non viola alcuna legge”. Il rinnovato protezionismo degli Stati Uniti riflette una crisi più ampia, caratterizzata da un indebolimento del potere economico e da una progressiva perdita di valore della moneta americana.
L’attuale contesto geopolitico evidenzia una crisi di identità sia per gli Stati Uniti che per la Germania, paese finora punto di riferimento dell’UE. Per la prima volta, la principale potenza mondiale si trova nell’impossibilità di intraprendere un conflitto su larga scala senza il rischio concreto di perderlo, una consapevolezza ormai diffusa nell’amministrazione Trump. Gli Stati Uniti hanno visto una progressiva erosione delle loro capacità industriali in settori strategici: la produzione navale dipende in parte da fornitori esteri come Fincantieri, mentre il comparto delle munizioni è in difficoltà, con episodi critici come l’esplosione dell’ultima grande fabbrica.
In questo scenario, Trump ha ottenuto il sostegno delle élite economiche e sta lavorando per ricostruire una sfera di influenza americana più ampia, estendendosi da Panama al Canada e alla Groenlandia. L’obiettivo è posizionarsi strategicamente in vista di un confronto con la Cina, che si giocherà principalmente sul piano tecnologico, in particolare nell’intelligenza artificiale e nello spazio. Il controllo delle risorse territoriali (energia, acqua e produzione agricola) diventa essenziale, poiché la dimensione alimentare assume un ruolo strategico paragonabile a quello delle risorse energetiche, come dimostra l’autosufficienza russa.
La corsa allo spazio rientra in questa logica sia come terreno di competizione tecnologica sia come elemento di sicurezza e difesa. Parallelamente, le politiche economiche di Washington, come l’imposizione di dazi, mirano a stimolare un processo di re-industrializzazione per affrontare la crisi del comparto produttivo e bellico. Il riequilibrio dell’economia passa anche attraverso una svalutazione controllata del dollaro per favorire le esportazioni, ma si tratta di una transizione complessa, con implicazioni di lungo periodo. Questo processo implica una ridefinizione sia dei confini geopolitici esterni degli Stati Uniti che delle loro dinamiche interne, ponendo sfide di notevole portata.
Di fatto, l’unilateralismo perseguito dagli Stati Uniti dopo il crollo dell’URSS si è rivelato un’illusione: il mondo contemporaneo è sempre più multipolare. La competizione tra Stati Uniti e Russia si concentra sul controllo delle risorse energetiche e delle materie prime, con Riad che emerge, non casualmente, come sede privilegiata degli incontri strategici tra queste grandi potenze.
La Cina, nel frattempo, si configura come il principale vincitore della competizione globale, avendo intuito che il successo non si misura esclusivamente con la forza militare, ma attraverso un consolidamento graduale della propria influenza. La questione di Taiwan ne è un esempio: Pechino mantiene un netto vantaggio strategico e, a differenza di altri scenari, non esita a considerare un’opzione militare, soprattutto dopo i segnali di riluttanza statunitense a un intervento diretto. Tuttavia, all’interno del paese emergono insoddisfazioni, con una parte della nuova borghesia che inizia a mettere in discussione il ruolo del Partito Comunista come garante dello sviluppo economico. L’espansione dell’influenza cinese si estende dal Mar Caspio al Pacifico, con una progressiva sostituzione della Russia in aree storicamente sotto il suo controllo, come il Kazakistan.
Parallelamente, si assiste a un rafforzamento anche della cooperazione asiatica, come dimostra il recente vertice tra i ministri degli Affari Esteri di Cina, Giappone e Corea del Sud, volto a consolidare un’area di co-prosperità economica e politica nella regione.
Visti questi rafforzamenti di cooperazione e le chiare politiche della nuova amministrazione, come europei ci si deve porre il quesito di cosa si stia costruendo dal nostro canto.
E l’Europa? Storia delle recenti crisi Europa-USA
Coscienti della nostra posizione nel blocco occidentale, ci tenevamo a ricordare che anche le relazioni tra Europa e Stati Uniti hanno attraversato numerose crisi dalla Seconda guerra mondiale a oggi, tra cui la crisi di Suez del 1956, la crisi della NATO del 1966 e la crisi energetica del 1973. Nel 1956, gli Stati Uniti costrinsero Francia, Regno Unito e Israele a interrompere l’operazione militare con cui intendevano mantenere il controllo del Canale di Suez, opponendosi così all’Egitto, sostenuto dall’Unione Sovietica.
A partire dal 1956, Francia, Italia e Germania avviarono colloqui per una maggiore autonomia strategica con l’Accordo tripartito, poi affossato nel 1958 con l’annuncio della Force de frappe di Charles de Gaulle che ha preferito l’indipendenza del programma nucleare francese. Questo processo portò nel 1966, anche in segno di condanna verso l’intervento statunitense contro i comunisti in Vietnam, alla decisione della Francia di ritirarsi dal comando integrato della NATO per sviluppare una propria politica di difesa.
La crisi petrolifera del 1973, invece, rappresentò uno snodo economico cruciale: l’amministrazione Kissinger non si oppose ad un rialzo esponenziale del prezzo del petrolio (sette-otto volte il valore precedente), con l’obiettivo di ristrutturare il mercato energetico globale. Da questa instabilità economica nacque nel 1975 il G7, con lo scopo di stabilizzare il commercio internazionale, i mercati finanziari e contenere il rischio di stagflazione.
Inoltre, vista questa “guerra mondiale a pezzi”, ricordiamo che anche in Europa i conflitti non sono mancati, ad esempio con le guerre in Bosnia, Moldavia e Kosovo che hanno segnato la fine del XX secolo.
L’Unione Europea oggi e le sfide dell’Italia
In Europa, si assiste a un graduale declino della NATO e dell’Unione Europea, poiché vengono meno i presupposti storici della loro creazione. La NATO, concepita per garantire la presenza americana in Europa contro la minaccia sovietica, vede ora gli interessi statunitensi spostarsi verso l’Indo-Pacifico e il confronto con la Cina. L’UE, invece, appare frammentata: i 27 Stati membri mostrano sempre più divergenze politiche, pur mantenendo un’integrazione amministrativa. In questo contesto, Francia e Regno Unito cercano di emergere come interlocutori privilegiati di Washington e punto di riferimento per i paesi UE, proponendosi come mediatori unici tra gli Stati Uniti e il blocco europeo.
Sul piano della sicurezza, l’Europa sta accelerando il rafforzamento della propria capacità di deterrenza nucleare, con discussioni aperte in paesi come Germania e Polonia. La dimensione atomica viene valutata come un’alternativa più efficace rispetto alla reintroduzione della leva obbligatoria, sia in termini operativi che di impatto sull’opinione pubblica.
L’Italia, dal canto suo, è chiamata a mantiene la sua centralità nel Mediterraneo, un’area che si conferma strategica con sfide cruciali nel Mar Rosso. Tuttavia, la politica missilistica statunitense nella regione non offre un supporto adeguato agli interessi italiani e non pare cambiare rotta. Il futuro del nostro paese si gioca tra due opzioni: diventare un partner strategico in grado di contribuire alle nuove sfide tecnologiche e geopolitiche o rimanere un’economia vulnerabile e facilmente sfruttabile. L’attuale declino demografico e la difficoltà nel trattenere giovani talenti rendono purtroppo più plausibile la seconda ipotesi.
Conclusioni
Lo scenario globale è in profonda trasformazione, con gli Stati Uniti sempre più concentrati sulla competizione con la Cina e un’Europa frammentata, chiamata a ridefinire la propria sicurezza. Ma può davvero emergere una difesa comune senza una maggiore coesione politica e soprattutto industriale?
La nuova proposta anglo-francese di un’Europa bicefala rafforza il loro ruolo di interlocutori privilegiati con Washington, ma l’Italia dov’è che si pone in questo contesto profondamente variato? Riusciremo a sfruttare la nostra centralità sia in UE che nel Mediterraneo o resteremo ai margini delle decisioni strategiche?
Le risposte a questi interrogativi determineranno il futuro equilibrio internazionale e il ruolo dell’Italia nel mondo multipolare che si sta delineando. Sicuramente il riaffermarsi di dottrine napoleoniche non giova al nostro paese.