“Mentre noi leggiamo i libri, i libri leggono noi” afferma Bianca Chiabrando, psicologa e autrice del libro di narrativa per ragazzi “Io sono Alice – avvenure e disavventure nel paese dei libri parlanti” (Mondadori 2020) e questo accade come per magia nella sua storia metaforicamente e letteralmente. Una nuova puntata riportata qui come intervista per la rubrica della Sezione Culturale “Un tè con l’autore”.
Immersi nella splendida e coloratissima cornice del Chiostro del Bramante, Giovani Universitari in Parlamento ha dato ai suoi ospiti appuntamento per un tè matto in compagnia di una giovane affermata autrice – e psicologa, Bianca Chiabrando, e una bambina che però è anche un libro, Alice, il famoso classico che ha edificato generazioni di ragazzi. Sin dalla loro uscita nelle librerie, prima Alice nel Paese delle Meraviglie e poi Alice attraverso lo Specchio non passano inosservati, scombussolano, inquietano, creano disordine, si fanno mistero. E se è vero che due delle porte per iniziare a filosofeggiare sono il dolore e la meraviglia, Alice riassume entrambe, nel disagio per il corpo che cambia continuamente e sembra non esser mai lo stesso, nello spaesamento che comporta l’adolescenza, in quegli interrogativi irrequieti che si impongono prepotentemente nella mente fino a raggiungere il cuore. Tuttavia anche per lo stupore dinnanzi a un mondo folle, vivace e bizzarro, che ci ridimensiona per l’immensità di un cielo stellato o ci fa sentir grandi per la capacità di produrre o ammirare bellezza.
Bianca, perché hai scelto “Alice” tra i tanti libri che avresti potuto rendere protagonisti del libro e quando questa storia ti ha meravigliata per la prima volta?
Avevo diversi candidati tra cui scegliere. Durante un viaggio ad Oxford, luogo in cui Carroll ha scritto di Alice, mi sono lasciata meravigliare per la prima volta. Inizialmente pensavo che fosse impossibile narrare Carroll che compie un viaggio nella mente e nell’inconscio. Poi ho pensato che è bene quando non siamo noi ad essere a servizio della follia ma è la follia a essere a servizio degli artisti.
Volevo narrare una storia dal punto di vista di un libro. I libri di Io sono Alice hanno un corpo e una mente. Quando vengono prestati dalla Biblioteca Ariosto cominciano letteralmente a studiare i lettori che li prendono in prestito.
“Mentre noi leggiamo i libri, i libri leggono noi”, come spieghi parafrasando questa frase così congeniale?
L’ho scritto perché i libri raccontano di noi, sono uno specchio, un riflesso e ci insegnano tantissimo su chi siamo soprattutto i grandi classici che sanno guardarci dentro e per questo sopravvivono al tempo, se no si esaurirebbero con la propria epoca. In qualche modo Lewis Carroll ci legge, ci fa domandare chi siamo e a interrogarci sulla nostra identità.
Ciò che colpisce senza dubbio di più è la dimensione che più inquieta del mondo di Alice, avrai visto il film Disney del ’51 prima di aver letto il libro di Carroll. Hai riscontrato lo stesso senso di straniamento e di turbamento nel libro rispetto al film o vicersa o è più accentuata in una delle due parti?
Di solito Walt Disney spoglia un po’ di inquietudine i suoi film però sì, in qualche modo la narrativa di Lewis Carroll ha sua volta influenzato la Disney che ha mantenuto quel senso lì. Ho rivisto qualche sera fa il cartone ma mi sono un po’ turbata al dire il vero… perché finché noi leggiamo immaginiamo fin dove possiamo permettercelo, e cerchiamo di non turbarci troppo, invece quando ci vengono propinate delle immagini allora è un po’ più un problema. Effettivamente i colori e movimenti sono abbastanza spaventosi ma sono qualcosa di estremamente onirico e rispettano l’atmosfera di tutti i romanzi di Carroll che sono impregnati di inquietudine perché i temi sono psicologicamente perturbanti. Per esempio c’è proprio un saggio di Freud che si chiama “Il perturbante” che parla dei temi che ci spaventano di più che ogni tanto abbiamo ospiti nel nostro inconscio, si affacciano e tornano indietro ma noi rimaniamo inquieti perché li troviamo familiari e allo stesso tempo completamente sconosciuti. Uno dei temi prediletti di inquietudine da Carroll è il doppio, infatti l’opera è piena di sdoppiamenti: Pinco Panco e Panco Pinco, lo stesso Paese aldilà dello Specchio (perché Alice in realtà viaggia in due mondi a distanza di sei mesi, prima nel Paese delle Meraviglie e poi Attraverso lo Specchio dove è tutto specchiato, anche i movimenti e Disney li ha accorpati nel cartone e con Tim Barton li ha separati). Anche Lewis Carroll ospita uno sdoppiamento nel suo nome perché in verità è uno pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson le cui iniziali ha invertito e tradotto in latino. Era, non a caso, ossessionato dai libri sui cloni.
Abbiamo cominciato ad addentrarci nei significati psicologici nascosti della storia, che forse sono ciò che più facilmente ci aiutano a riconoscere in questo classico quanto tale, in particolare sul tema dell’adolescenza (Io sono Alice infatti viene principalmente suggerito come narrativa per ragazzi). Questo non è solo un semplice viaggio nell’inconscio ma anche nella tempesta e nella turbolenza che porta l’età dell’adolescenza, infatti ricordo diverse metafore e momenti che mettono in luce questo disagio. Ad esempio la porta che Alice vorrebbe attraversare non è mai della misura giusta: quando essa è troppo piccola lei è altissima e, viceversa, quando lei diventa minuscola la porta appare gigantesca e dunque invalicabile, dunque la bambina sente di non essere mai all’altezza in senso metaforico e letterale; oppure quando Alice viene derisa dai fiori che la trovano diversa dal loro modello di bellezza e non colgono che non possono fare paragoni, appartenendo uomini e piante evidentemente a due specie diverse. O forse uno dei momenti più decisivi, quando la nostra protagonista si trova a un bivio cercando la strada di casa ma tutte le strade attorno a lei indicano casa. Il più importante da menzionare mi sembra il Bianconiglio che sfugge, inafferrabile: si fa metafora del tempo che corre via e Alle non può far nulla per fermarlo così come lo Specchio. Quali altri significati hai trovato e soprattutto quali altri hai scovato dopo la stesura del libro avendo studiato psicologia, nuove chiavi di lettura e altri centinaia di dettagli oltre a questi. Ecco, ti chiediamo dunque di illustrarci quelli che sei riuscita a individuare, di guidarci in questo viaggio tematico nella psicanalisi di “Alice”.
Alice è un romanzo estremamente psicanalitico secondo gli esperti, in primis perché se adesso ti dico che c’è un luogo in cui non esiste il tempo, i contrari coesistono, non c’è lo spazio e risiedono i nostri desideri e le nostre paure, mi dirai, sto parlando del Paese delle Meraviglie o anche dell’inconscio perché è una definizione che lega questi due luoghi e Alice, effettivamente, li attraversa entrambi. Lei è proprio in realtà un’adolescente perché è è una bambina di poco più di dieci anni a cui Carroll racconta questa storia a Londra sul Tamigi mentre facevano una gita insieme e coglie della tematiche adolescenziali fondamentali: il corpo che cambia, Alice comunque non rimane mai uguale a sé stessa durante tutto il viaggio: continua a magiare. e bere cose che la fanno diventare gigante o piccolissima e guarda caso è sempre della misura sbagliata. Per questa sensazione di non essere mai al proprio posto e non sapere chi è lei soffre moltissimo: proprio nei primi capitoli si trova davanti una porta in cui non riesce a passare perché è troppo grande rispetto ad essa e comincia a piangere creando un letterale mare di lacrime, questo perché Lewis Carroll era attaccato a questi giochi di parole e proverbi che rendeva nelle storie all’interno del libro, un qualcosa di tristissimo questo episodio che però spiega bene il dolore che proviamo durante l’adolescenza. Alice sta cercando se stessa. E nel bel mezzo del racconto c’è infatti una seduta psicanalista in piena regola al cospetto del Brucaliffo che la accoglie fumando narghilè su un fungo. Il bruco le chiede lei chi è, la ragazzina risponde che non lo sa: stamattina pensavo di saperlo ed ero qualcuno ma son cambiata troppe volte da allora per poterlo sapere. E lui sta in silenzio proprio come farebbe uno psicanalista, lasciandola appunto pensare. Lei gli fa un sacco di domande, lui non risponde mai e se lo fa risponde con altre domande, quindi fa solo ottime domande e le chiede di che misura vorrebbe essere. In quel momento Alice è alta tre pollici che è la stessa altezza del bruco “Questa altezza non va bene” gli dice e il bruco si offende ritenendola invece perfetta! Lei gli esprime il desiderio di essere più grande e in questo ho letto la sua volontà di crescere, di ritrovarsi, comunque Tu chi sei è una domanda che l’accompagna per tutto il libro. All’inizio addirittura arriva a definire un rompicapo capire chi siamo. Ultima questione quella della perdita, perché nell’adolescenza, come periodo di lutto, in qualche modo dobbiamo abbandonare i bambini che siamo stati. Questa in realtà è una storia piena di morte, il Paese delle Meraviglie è uno spazio dove si parla di morte cosa rappresentata specialmente dalla Regina dei Cuori che vuol fare fuori tutti… decapitando chiunque e qualsiasi cosa (Tagliategli la testa!). Quindi c’è questa grande paura diffusa di morire a causa della Regina o del Re che addirittura a un certo punto vogliono tagliare la testa allo Stregatto che lui stesso non ha una testa e può staccarsela quando vuole! Tuttavia dirà il Re gli risponderà che qualsiasi cosa che ha una testa può essere decapitata. Lewis Carroll così dice che tutto può morire e possiamo perdere tutto, che è tutto molto precario.
Bianca, dopo vari libri di successo scritti per ragazzi ma recentemente ti sei confrontata anche con la narrativa per l’infanzia (Margherita salva la città, Oscar Mondadori 2024). Che differenze e difficoltà hai trovato tra le due? Cosa cambia in questa svolta di narrazione? Spesso la letteratura per i più piccoli sembra più semplice ma dietro c’è tutto un grande studio…
Vero. In questa situazione non ero sicura di volermi mettere perché avevo un’idea che pensavo di sviluppare sempre per gli adolescenti e invece poi parlando con la casa editrice abbiamo convenuto che era più adatto ai bambini. Dunque ho dovuto cambiare il mio modo di scrivere, cercando di tenere a mente che i bambini sono dei geni. Spesso si fa l’errore di propinarli concetti molto semplici perché pensiamo che non possano arrivarci e invece la loro età è forse il momento in cui siamo più intelligenti. Quindi il segreto è di usare parole semplici per veicolare concetti complessi, i bambini sono capaci di capire quanto poi da grandi smettiamo di capire. Ho cercato perciò di non spogliare della complessità la scrittura.
Tornando a Io sono Alice, è bello che questi libri che le fanno compagnia sugli scaffali si animino, dialoghino e addirittura si scontrino tra loro (è presente persino una vera e propria rissa tra classici nella storia che sul finire del nostro appuntamento abbiamo provato a ripetere cercando, attraverso un gioco di selezioni (con il catalogo di titoli in appendice al libro che vanno a comporre una piccola biblioteca personale, di eleggere il miglior classico di tutti i tempi escluse le opere di Dante e Omero!). Ci sono dei libri che nel tuo racconto compongono insieme ad “Alice” la Collana delle Meraviglie, oggi aggiungeresti altri tra i libri che citi e che vanno componendo una sorta di Olimpo di autori e libri? E, infine, quale di quelli che menzioni sei maggiormente legata?
Alice come protagonista del mio libro, intesa come copia fisica ha nove fratelli (difficili da ricordare quanto i nomi dei sette nani!). C’è sicuramente Il mago di Oz, un altro dei miei libri candidati, poi Pippi Calzelunghe, Peter Pan, Moby Dick, Il libro della Giungla… insomma tutti questi grandi classici e quella è una lista di libri che ho letto o vorrei leggere e in realtà poi le piccole sinossi che ho messo nel libro parlano perlopiù del loro ruolo relazionale all’interno della Biblioteca Ariosto: la Divina Commedia presiede le assemblee, Pinocchio a cui si allunga il segnalibro quando dice le bugie… però avevo inserito questa bibliografia anche sperando che qualche lettore si incuriosisse e andasse a leggere questi libri. Ci sono un sacco di libri che aggiungerei adesso. Ho stabilito poi una vera e propria cinquina di libri e non sono tutti lì dentro. Per esempio Il Maestro e Margherita che leggevo mentre scrivevo questo libro e non ho inserito neppure una sezione dedicata all’Oriente… Murakami o altri grandi che adesso riterrei immancabili. E poi ci sono altri autori italiani che ho “incontrato”: Elsa Morante, Pavese, Natalia Ginsburg che a posteriori avrei inserito. Avevo solo diciannove anni quando ho fatto la lista e non li avevo ancora letti…
Questo che richiami è molto bello perché dimostra quanto i libri siano vissuti e testimonino e immortalino un pezzo della nostra vita, questo rende molto il concetto di essere letti dai libri stessi. D’altronde i lettori che si alternano durante il racconto di Io sono Alice, lasciano distrattamente tra le pagine dei libri che hanno in prestito anche oggetti che raccontano le loro vicissitudini e questo poi aiuta la parte misteriosa della storia che di fatti in alcuni punti si trasforma in un giallo. Una storia, tante storie. Questa idea è andata costruendosi durante la stesura oppure ce l’avevi sin dal principio?
Nasce prima di Io sono Alice. Quando ero al liceo avevo un professore d’Italiano che ci ha fatto leggere Il nome della rosa, uno dei miei libri preferiti e che ha tra l’altro proprio una biblioteca al centro della storia. Lui ci aveva detto che tutti i buoni libri si fanno a strati e che c’è sempre uno strato che è quello più godibile e che spesso può essere una trama gialla o comunque qualcosa che ti tiene attaccato alle pagine e poi andando sempre più in basso ci sono magari le cose che vogliamo realmente comunicare. Quindi quando ho avuto l’idea di scrivere un libro mi sto chiesta cosa fargli fare e ho cercato di inventare un mistero che potesse movimentare la trama se no avrei scritto soltanto dell’interazione dei libri all’interno della biblioteca. I lettori di Io sono Alice sono legati da un filo, ognuno dimentica qualcosa tra le pagine ed essendo libri in prestito tutti cercano il proprietario precedente e alla fine si ritrovano tra lettori. Era più che altro un espediente narrativo che avevo piacere a sperimentare.
Chi ha inventato la lettura ha però inventato anche le Biblioteche e quella che tu inventi, la Biblioteca Ariosto, per custodire tutta questa collezione degli amici di Alice è un posto fantastico che forse idealmente tutti colleghiamo al nostro luogo del cuore in cui dedicarci alla lettura. Per te è stato ispirato a un posto reale e quali sono, ora che abiti a Roma, delle biblioteche che vorresti suggerirci?
La Biblioteca Ariosto è ispirata a una biblioteca reale, la Braidense a Milano che ha un bellissimo orto botanico, nel mio libro in quell’orto si coltivano le rose che poi richiamano a loro volta il mondo di Lewis Carroll. Quando ho iniziato a scrivere sono andata più volte lì, ho importunato i bibliotecari molte volte perché volevo sapere come funzionasse tutto lì, i prestiti, dove potevo stare a scrivere, a guardare, quanti libri ci fossero… in realtà è un posto bellissimo in cui i libri non sono molto accessibili perché è quello che ricorre quando le biblioteche sono molto belle, giustamente perché ci sono libri molto preziosi ma è utile circondarsi di queste per ispirarsi a anni di umanità e di storie. La descrizione è pressoché dunque identica a quella del mio libro. Qui a Roma c’è quella dietro Villa Mercede, dentro un piccolo parco a San Lorenzo, un po’ nascosta ma anche in centro ce ne sono di bellissime tutte da scoprire. A Spazio Sette, anche libreria, c’è un gatto che fa da mascotte!




Foto di Riccardo Basilone