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Dazi Trump: tra strategia e finzione

L’amministrazione Trump ha implementato una serie di dazi doganali che, sebbene apparentemente mirati a riequilibrare il deficit commerciale degli Stati Uniti, rappresentano una componente di una strategia economica e finanziaria più ampia. Secondo il report di novembre 2024 firmato da Stephen Miran, attuale presidente del Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca, la politica tariffaria statunitense mira non solo a correggere squilibri commerciali, ma anche a vincolare i partner economici internazionali all’acquisto di titoli di debito a lungo termine, inclusi potenziali bond centenari.

La logica alla base di questa strategia richiama il “Plaza Accord” del 1985, nel quale gli Stati Uniti, in collaborazione con il G5, attuarono una svalutazione concordata del dollaro per correggere squilibri economici. Tuttavia, l’approccio attuale è più ambizioso e vincolante, mirando a un meccanismo di finanziamento del debito pubblico statunitense tramite una forma di diplomazia finanziaria coercitiva. Tutti i partner economici degli Stati Uniti si trovano dunque dinanzi alla scelta di accettare tariffe punitive o di convertire le loro riserve finanziarie in strumenti di debito a lungo termine, garantendo così stabilità ai conti pubblici statunitensi.

La strategia di finanziamento del debito

Un aspetto cruciale della politica tariffaria di Trump è il suo legame con la sostenibilità del debito pubblico. Il rapporto debito/PIL degli Stati Uniti ha raggiunto il 120% nel 2024, un livello significativamente più alto rispetto al 40% registrato nel 1985. Tradizionalmente, la Cina e il Giappone hanno rappresentato due dei maggiori acquirenti di Treasury statunitensi; tuttavia, negli ultimi anni, entrambi i Paesi hanno progressivamente ridotto la loro esposizione al debito americano, rendendo necessaria una nuova strategia di finanziamento.

L’ipotesi avanzata da Scott Bessent, Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, prevede la creazione di “matusalem bond”, ossia obbligazioni a lunghissimo termine (fino a 100 anni), con rendimenti contenuti ma garantiti dalla Federal Reserve in condizioni specifiche. L’idea alla base di questa proposta è duplice: da un lato, ridurre la dipendenza dagli investitori a breve termine, dall’altro, creare un incentivo per il capitale estero a rimanere vincolato al sistema finanziario statunitense, evitando flussi di liquidità destabilizzanti. Questa misura si inserisce in un quadro più ampio di repressione finanziaria, che mira a trasformare i Treasury in un asset meno liquido e più difficilmente alienabile senza subire perdite.

La finzione nel calcolo tariffario

Sebbene queste tariffe “reciproche” siano state presentate come una risposta ai dazi e alle barriere commerciali imposti dagli altri paesi sugli Stati Uniti, l’effettiva metodologia di calcolo solleva numerosi interrogativi sulla sua validità e coerenza con la politica economica. Invece di basarsi su un’analisi delle tariffe effettivamente imposte dalle altre nazioni, il governo statunitense ha determinato i tassi tariffari basandosi sul disavanzo commerciale bilaterale in beni. Nello specifico, il valore della tariffa per ciascun paese è stato fissato come il maggiore tra due valori: il 10% minimo oppure il rapporto tra il disavanzo commerciale del 2024 e il totale delle importazioni statunitensi da quel paese. La formula usata per calcolare le presunte “tariffe” imposte dai vari stati nei confronti degli USA e pubblicata dalla Casa Bianca è la seguente:

In cui l’indice i è superfluo, come anche il prodotto tra ε (elasticità delle importazioni rispetto ai prezzi delle importazioni) e 𐌘 (grado di trasmissione dei dazi doganali ai prezzi delle importazioni) che è pari a 4 * 0,25 = 1. Il resto indica semplicemente il cambio (Δ) nel rapporto tariffario (τ) come la divisione tra il totale delle esportazioni di un paese verso gli USA (x) a cui viene sottratto il totale delle importazioni di quel paese dagli USA (m) ed appunto il totale delle importazioni già citato (m). Questo calcolo è confermato dalla tabella in allegato con il Δτ riportato in percentuale e come presunta “tariffa”.

Sia ε<0\varepsilon < 0ε<0 l’elasticità delle importazioni rispetto ai prezzi delle importazioni e sia φ>0\varphi > 0φ>0 il grado di trasmissione dei dazi doganali ai prezzi delle importazioni.

In breve le tariffe USA (“reciproche”) sono la meta della presunta “tariffa”, che è semplicemente il deficit commerciale e le importazioni. Tale metodo, tuttavia, ignora elementi essenziali della politica commerciale, come le tariffe reali, le tasse sui servizi digitali, le imposte sul valore aggiunto e le politiche monetarie. Il risultato è un sistema tariffario arbitrario che non riflette la reale struttura del commercio globale e che potrebbe introdurre distorsioni significative nel mercato internazionale.

PaeseSurplus (Deficit) Commerciale di BeniEsportazioni USA di BeniImportazioni USA di BeniPresunta “Tariffa”Tariffa USA
Cina-295.401,6143.545,7438.947,467%34%
Unione Europea-235.571,2370.189,20605.760,439%20%
Giappone-68.467,779.740,80148.208,646%24%
Vietnam-123.463,013.098,20136.561,290%46%
Corea del Sud-66.007,465.541,80131.549,250%25%
Taiwan-73.927,242.336,90116.264,064%32%
India-45.663,841.752,7087.416,452%26%
Regno Unito11.856,979.941,3068.084,510%10%
Singapore2.828,946.032,6043.203,710%10%
Brasile7,350.749,667.0042,316.310%10%
Solo alcuni paesi sono selezionati e tutte le cifre sono espresse in milioni di dollari.
Crediti: Tax Foundation, https://taxfoundation.org/blog/trump-reciprocal-tariffs-calculations.
Fonte: Casa Bianca, https://x.com/WhiteHouse/status/1907533090559324204; Census Bureau, U.S. International Trade in Goods and Services, December 2024, 5 febbraio 2025, https://www.census.gov/foreign-trade/Press-Release/ft900/ft900_2412.pdf.

Uno dei problemi principali di questa politica tariffaria è l’errata equivalenza tra disavanzo commerciale e barriere commerciali imposte dagli altri paesi. I bilanci commerciali bilaterali non sono necessariamente indicativi di pratiche commerciali sleali e, in molti casi, sono il risultato di fattori economici strutturali. Un esempio ipotetico aiuta a chiarire il concetto: se tre paesi specializzati in diverse produzioni scambiassero beni tra loro, ciascuno avrebbe un forte squilibrio bilaterale con gli altri, senza che ciò implichi distorsioni tariffarie o manipolazioni commerciali. Allo stesso modo, il commercio statunitense con nazioni come il Regno Unito e l’Indonesia riflette le differenze nelle dotazioni naturali e nelle specializzazioni produttive piuttosto che pratiche sleali.

Inoltre, la misurazione del disavanzo commerciale in beni esclude il commercio di servizi, un settore in cui gli Stati Uniti sono altamente competitivi. Escludere servizi come le licenze software, i diritti di branding o le riparazioni aeronautiche porta a una visione distorta delle dinamiche commerciali.

Effetti dei dazi

Oltre alle problematiche metodologiche, le tariffe reciproche rischiano di avere conseguenze negative sulla crescita economica e sulla bilancia commerciale complessiva degli Stati Uniti. Sebbene l’obiettivo dichiarato dell’amministrazione sia la riduzione del disavanzo commerciale globale, l’evidenza empirica suggerisce che le tariffe non siano un meccanismo efficace per raggiungere questo scopo.

L’imposizione di dazi riduce il volume degli scambi, penalizzando sia le importazioni che le esportazioni. Le misure protezionistiche possono inoltre innescare ritorsioni da parte dei partner commerciali, compromettendo l’accesso delle imprese statunitensi ai mercati esteri. Inoltre, la politica tariffaria può influenzare il tasso di cambio, rendendo le esportazioni americane meno competitive sul mercato globale.

Infine, le tariffe rappresentano un onere economico per i consumatori e le imprese, aumentando i prezzi dei beni importati e incidendo sul potere d’acquisto delle famiglie. Secondo le stime della Tax Foundation, l’impatto cumulativo delle tariffe dell’amministrazione Trump potrebbe raggiungere i 3,1 trilioni di dollari in dieci anni, con un costo medio di circa 2.100 dollari per famiglia nel solo 2025.

Conclusioni

L’amministrazione Trump sta implementando una strategia economica caratterizzata da un elevato livello di rischio, ma potenzialmente efficace nel rafforzare la posizione degli Stati Uniti nel lungo termine, in linea con la dottrina “America First”. Le prime conseguenze di questa politica includono una significativa correzione della bolla tech nello S&P 500 e un crescente dissolversi delle tradizionali alleanze geopolitiche.

Tuttavia, è fondamentale osservare come gli Stati Uniti, già avviati verso una fase di difficoltà economica, stiano utilizzando la loro posizione dominante per ridefinire gli equilibri globali. Attraverso l’imposizione di vincoli finanziari e commerciali, Washington sta cercando di consolidare la propria influenza per il prossimo secolo, obbligando i principali attori economici globali a un’integrazione sempre più stretta con il sistema finanziario statunitense. Resta da vedere se questa strategia garantirà una stabilità duratura o se, al contrario, innescherà tensioni economiche e diplomatiche di vasta portata.

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